L’uccello che si “rade”
di G. Petrantoni immagini degli aventi diritto
Dedicato ai giovani allevatori . . .e non solo.
Le foreste (habitat dell'uccello che si "rade") dell’America centrale e meridionale sono per lo più disseminate di grandi e giganteschi alberi che salgono verso il cielo ad enormi altezze, spesso con il tronco nudo sino a 50 m. dal suolo, mentre le loro chiome riunite formano un vero tetto verde che non fa filtrare i raggi solari e crea un perpetuo crepuscolo nella sottostante foresta. Molti di essi hanno alle basi robuste ramificazioni o grosse radici contorte che si stendono e si allargano sulla terra molle ed umida, mentre altri, stranamente alti di parecchi metri dal suolo, sono sostenuti da centinaia di sottili radici che sembrano canne di fiume.
Dovunque infinite liane ornano gli alberi e con essi si intrecciano, avvolgendo grossi tronchi, per poi pendere libere e lunghe dalle cime, verso terra o da un albero all’altro.
Ci sono poi le orchidee, alte, sottili e filiformi tanto da creare innumerevoli altre piante aeree dalle larghe foglie, bromelia simili ad ananas ed altre infinite piante colorate che formano massa.
A terra non vi è vegetazione consistente, poiché il sole non riesce a raggiungere ed irrorare, anzi, la caduta delle foglie forma uno strato marrone, fresco ed umidiccio,
simile a quello dei nostri boschi quando, dopo una pioggia estiva notturna, si risente della evaporazione senza che vi siano raggi solari.
Questa è la foresta equatoriale che ho avuto modo di vedere e vivere nella Guiana Britannica, in Venezuela e in molti altri Stati del centro sud America.
Dal tetto impenetrabile che sovrasta si odono continui trilli, cinguettii e rauchi stridii di uccelli invisibili, ma ben pochi se ne riescono a vedere a terra o lungo il cammino, solo qualche spaccalegna bruno e grigio, intento intorno ad un tronco come fanno i nostri picchi, un formichiere, vestito a scacchi bianchi e neri o con macchie marrone,
che fruga tra i rami caduti e le foglie secche alla ricerca di insetti.
Ci si può imbattere in qualche grossa gallinella, molto simile alle nostre, ma vestita di penne olivastre o marrone, anziché di grigio, per mimetizzarsi al terreno, o un tacchino arboricolo guan, molto simile ai comuni nostrani, che si leverà in corto volo per paura, ed ancora coloratissimi colibrì in sospensione nel calice delle rosse orchidee, per assumerne il nettare! Al di fuori di questi, pochi saranno gli uccelli di tinte neutre o poco visibili che il nostro sguardo avrà la fortuna di incontrare.
Tutt’altra cosa è invece sui bordi delle foreste, in quei luoghi dove si formano radure per tagli degli alberi o lungo i fiumi. Nei tropici , così anche come da noi, gli uccelli abbondano su terreni aperti, sia perché lì il sole può colpirli con i suoi raggi, sia perché gli insetti ed altri animaletti di cui si cibano sono assai presenti ed i fiori e bacche e semi vari vi si sviluppano molto meglio che dove l’ombra è troppo fitta.
In queste aperture della vegetazione è possibile osservare uccelli di varie grandezze, magari appollaiati a prendere il sole o in attesa di acchiappare una farfalla o un pesce che nuota nei bassi fondali del fiume sottostante.
In tali condizioni ambientali è facile scorgere un motmot, il quale, sfuggendo dal ramo su cui sostava, afferra al volo una farfalla, per cibarsene.
Dopo la cattura, in attesa di altra caccia, torna di nuovo sul ramo, poi si tuffa a terra, e ritornando al ramo porta al becco un topino, una rana, o una lucertola che si contorce ancora. Avendo il becco lungo e forte è naturale che riesca a catturare con abilità prede consistenti, supportato anche dai suoi 47 centimetri di taglia e dai 150 grammi di peso. Il motmot -voce onomatopeica di origine spagnola che ne descrive il verso- in realtà è simile sia al martin pescatore sia all’acchiappamosche. Gli indigeni lo chiamano bobo, cioè “sciocco”, poiché non teme l’uomo e facilmente si lascia vedere da vicino. Ciò accade forse perché sa di non essere in pericolo, dato che, non essendo commestibile, non gli viene data la caccia, o forse perché, essendo pigro, non ha molta voglia di muoversi, tanto da non adoperarsi nella ricerca del cibo per i suoi piccoli. Per evitarsi la fatica riempie il nido di animali morti, dei quali i neonati si cibano fino a quando non sono capaci di cacciare per conto proprio.
Inoltre i loro nidi non sono proprio all’insegna della pulizia e così sporchi non attirano alcun predatore.
Ma il costume che lo rende assai strano è che ama “radersi da solo”!
Possiede una coda lunga, con due penne centrali più lunghe delle altre, ma, chissà perché, l’uccello crede di sembrare più bello radendosele.
Tirandosi sotto la coda, chinando il capo e servendosi del lungo e robusto becco per rasoio, si toglie le piume delle lunghe penne centrali, fatto salvo un ciuffetto che lascia in cima.
Come negli umani che variano per baffi e pizzi, così certi motmot si lasciano solo un ciuffetto in fondo alle penne, mentre altri se ne lasciano qua e là lungo le cannucce rase. Per quanto poco quei buffi uccelli dalle code rasate temano l’uomo, ce n’è un altro nelle Indie Occidentali che si mostra ancora più domestico: è un bellissimo uccelletto non più grande di un passero, ma grassetto e forte, con un codino robusto ed un lungo becco dritto; ha il dorso verde e sul petto macchie che vanno dal rosa allo scarlatto, frequenta le rive dei fiumi e non si discosta molto dalle caratteristiche dei motmot. A prima vista lo si scambierebbe per un piccolo martin pescatore, vista la forma similare, la posa e la testa robusta dal becco dritto e acuminato, poi, vedendolo piombare sui piccoli insetti, sembrerebbe un acchiappamosche. Il suo nome è tody, appartiene alla specie dei martin pescatori e come essi fa il nido nelle cavità lungo le alte sponde dei fiumi, ma il suo richiamo è diverso: invece di un sonaglio emette un rauco gracidare di una rana e, al contrario dei suoi parenti martin, che sono schivi, timidi e sospettosi, i piccoli tody sono gli uccelli più domestici e fiduciosi. Non solo sono tranquilli e sicuri, ma, se ci si trova nelle immediate vicinanze, facilmente vengono a posarsi sulle nostre spalle.