Il Cacatua Leadbeateri mollis

Il Cacatua Leadbeateri mollis

Cacatua leadbeateri (Cacatua bandiera spagnola – Vigors, 1831)

Altri nomi: Cacatua Abanderada (E), Inglese (Australia): Major Mitchell’s Cockatoo, Inglese (Gran Bretagna)Leadbeater’s Cockatoo, Desert Cocktoo, Major Mitchell’s Cockatoo, Wee Juggler, Cocklerina, Chockalott.

Così chiamato in onore di Benjamin Leadbeater (fl.1830), studioso di storia naturale a Londra, che inserì l’animale nella collezione del Museo Nazionale Britannico; mollis è parola latina che significa “delicato”. Così recita la pubblicazione di Arthur Prestwich del 1958 “I name this parrot …”; ad un meeting della Commissione Scientifica, in qualità di Corrispondente della Società Zoologica di Londra il 26 aprile 1831, Mr.Vigors esibì, dalla collezione privata di Mr. Leadbeater, una mai descritta specie di Cacatua proveniente dalla New Holland, sottolineandone le sue caratteristiche distintive.

Mi accingo a descrivere la specie nominale, in quanto abbastanza conosciuta presso gli allevatori europei, ma ho tratto spunto dal fatto che recentemente sono entrato in possesso di una sottospecie alquanto rara e ben poco conosciuta in tutto il vecchio continente: il C.l. Mollis (Cacatua rosa di Matthew).

Non mi risulta che ci siano altri allevatori possessori di tale soggetto di variabilità geografica, ma proseguo nella ricerca, poiché fonti certe mi hanno segnalato un allevatore tedesco.

Il Cacatua bandiera spagnola ha una distribuzione sparsa e varia nell’entroterra australiano, dove difficilmente rischia di essere confuso con altre specie; misura 33-40 cm. Specie estremamente peculiare e conosciuta. È uno degli Psittacidi più caratteristici al mondo grazie alle parti inferiori rosa, alle parti superiori bianche, alla magnifica cresta bianca e rosa intenso, con evidente e ben marcata fascia giallanel centro della crestae alla colorazione rosa intenso di sottoala e sottocoda; osservata sul campo, la testa appare larga e dal profilo camuso. In Australia non esistono specie confondibili: anche il Cacatua delle Molucche, molto più grande, presenta una slavatura rosa sul piumaggio, ma ha la cresta di forma e colore diversi, con ciuffo a cucchiaio, e il colore delle parti superiori non contrasta con quello delle parti inferiori. Il volo del Cacatua bandiera spagnola sembra indeciso ed è caratterizzato da rapidi colpi d’ala poco profondi e da planate regolari. Le lunghe ali arrotondate e la coda corta e quadrata coincidono con le caratteristiche tipiche del genere Cacatua. Il bianco sulla parte superiore dell’ala e il rosa sul sottoala leggermente bordato di bianco rendono questa specie praticamente inconfondibile. In natura si ibrida talvolta con il Cacatua petto rosa, E.roseicapillus, e con il Cacatua sulfurea. Di quest’ultima ibridazione un soggetto è presente presso il signor Mondin da Brescello.

Secondo il Forshaw emette un bisillabico quee-err trillante e in falsetto, non molto diverso dal richiamo del piccolo Corella, ma meno roco. Emette anche un richiamo d’allarme molto aspro. I nidiacei lanciano un sibilo costante quando richiedono il cibo. Molte varianti dipendono dalle circostanze; secondo Rowley, emettono triplette del tipo cteek-ery-cree, segnale di contatto base, ripetuto ad intervalli di circa un minuto allorquando si trovano al riparo tra i rami, mentre mangiano. Tale richiamo aumenta di intensità e di cadenza in caso di allarme e, se proprio in pericolo, in volo, mentre si allontanano, presi dal panico, lo ripetono in continuazione senza alcun intervallo.

Si trova esclusivamente in Australia, dal Queensland centromeridionale verso l’entroterra del Great Dividing Range (non più a est della zona di Darling Downs) fino al New South Wales, a est fino al Warrumbungle National Park, a Parkes, Griffith e Moulamein e al Victoria nord orientale, Mildura e Wyperfeld National Park, dove è comune, a est intorno a Swan Hill ed è accidentale nella zona sudorientale fino a Geelong e in quella nordorientale fino a Wangaratta. Il suo areale comprende anche parte del South Australia, in particolare le regioni centromeridionali, compresi i monti Gawler e Flinders e le zone lungo il fiume Murray fino a Morgan e Renmatk, ma si estende anche a ovest lungo la costa, fino a raggiungere Eyre nel Western Australia. Completamente assente dal deserto Simpson, questa specie si trova dai monti Mac Donnel fino al Kimberley meridionale, si spinge all’interno del Northern Territory centrale, proseguendo verso nord fino a Hooker Creek e Mac Donald Downs. In Eastern Australia si trova nella zona compresa tra Geraldton, Perth e l’area immediatamente a nord-est di Bullfinch, ma anche nell’entroterra sui monti di Warburton, lungo il confine orientale del deserto di Gibson, lungo il confine settentrionale del Grande Deserto di Sabbia e nella regione compresa tra i fiumi Fortescue e De Grey, dove la sua presenza viene confermata da segnalazioni provenienti da Wiluna, Leonora e Kalgoorlie (Anthony Catt, 2016, Creta). Una popolazione, introdotta, vive a Sydney. È stato introdotto senza successo anche alle Fiji. L’areale si è contratto leggermente in South Australia, dove un tempo questa specie si riproduceva nei dintorni di Adelaide. In altre zone è stato rilevato un calo numerico nelle popolazioni a livello locale, in seguito alla deforestazione dell’habitat e alla cattura, ma complessivamente lo status di questa specie sembra stabile. Esclusa la presenza lungo tutto il nord dell’isola. Molti gli esemplari allevati e riprodotti in cattività, che variano in base alla colorazione del rosa,soprattutto perché i soggetti accoppiati non sempre provengono dal medesimo vasto areale.

Questa specie è in larga misura sedentaria ma, quando acqua e cibo scarseggiano, gli adulti nidificanti si uniscono talvolta agli stormi composti da immaturi e gli individui vaganti confluiscono verso stormi composti da esemplari di altre specie. Questo Cacatua si trova prevalentemente nell’entroterra arido australiano caratterizzato da precipitazioni nell’ordine di 250-400 mm e in una zona più interna rispetto al grande Cacatua a ciuffo giallo; pur prediligendo la boscaglia di Eucalipto, in particolare in prossimità di corsi d’acqua, si trova in una grande varietà di altri habitat, come mulga, mallee, boschi di cipressi e acacia, prateria e campi coltivati, dove si unisce ad esemplari di Cacatua petto rosa per nutrirsi dei cereali. Occasionalmente si trova anche su alberi di Casuarina e cipressi Callitris. Piuttosto guardingo, anche quando viene spaventato non si allontana molto, compiendo voli brevi e cercando riparo nel folto della vegetazione. Nel momento in cui si posa, solleva le penne della cresta. Lo si trova solitamente in coppia o in piccoli gruppi composti da non più di 50 individui, talora in stormi che ne contano alcune centinaia. Altre volte è in compagnia di esemplari di Cacatua petto rosa e Corella. Il Cacatua camicino si nutre sia a terra sia sugli alberi, prevalentemente di semi di piante erbacee e cereali e dimostra una spiccata predilezione per i semi di Cucumis myriocarpus. La sua dieta comprende anche i frutti dei fichi autoctoni Ficus, pigne, semi di Eucalipto, bulbi, semi di Citrullus lanatus, noccioli, radici e larve di insetti. Apprezzano anche mallee fruttifere di Eucaliptus camaldulensis, E.incassata, E.largiflorens, E. micro carpa, E. microtheca, la gomma di E. papuana, E. gracilis, anche Ulmus. Mentre mangiano o dopo aver ingerito il cibo, talvolta questi esemplari staccano e mordono piccoli pezzi di corteccia e ramoscelli, lasciando mucchietti di resti sul terreno. Il Cacatua di Leadbeater si abbevera tendenzialmente la mattina presto o nel tardo pomeriggio, ma nei periodi più caldi visita gli abbeveratoi con maggiore frequenza. Questa specie è territoriale ed aggressiva ed ogni coppia, ha bisogno di un territorio di circa 500 ettari. (Per territorio si intende l’areale, entità complessa, non omogena sottoposta a variazione climatiche, su cui può insistere una coppia, calcolato in funzione del terreno, della flora e di altri fattori che vengono stabiliti dagli studiosi del settore, pertanto deve essere ritenuto quella porzione di spazio geografico limitato, alle   descrizioni di elaborati cartografici. Per cui la storia evolutiva della specie determina la storia evolutiva dell’areale o del territorio su cui insiste la specie). Durante il rituale di corteggiamento, il maschio procede impettito verso la femmina, mettendo in mostra la cresta, muovendo a scatti e dondolando la testa e portando in alto le ali. Anche la femmina solleva la cresta e si inarca. Durante il corteggiamento questi esemplari emettono un lieve “chiacchiericcio”. Il corteggiamento con il cibo è raro; frequente invece l’attività di toelettatura reciproca. In quasi tutto l’areale la stagione della riproduzione va da agosto a dicembre, ma nella zona settentrionale può avere inizio a maggio. Questa specie nidifica in una cavità profonda posta da 3 a 20 m d’altezza all’interno di un eucalipto, solitamente in prossimità di corsi d’acqua. Il nido viene foderato con pezzi di corteccia presi dal foro di accesso, con frammenti di legno e piccole pietre. Il foro di ingresso praticato è di circa 50 cm. Il terreno intorno all’albero su cui si trova il nido spesso è coperto di resti dei materiali usati per realizzare quest’ultimo. Entrambi i partner collaborano alla preparazione del nido: la femmina depone da due a quattro uova; la cova dura circa 26 giorni. Rowley e Chapman hanno determinato la cova in 23-24 giorni. La deposizione avviene al mattino ad intervalli di due/tre giorni. La cova spetta alla femmina per la notte, mentre il maschio rileva la postazione al mattino e la tiene sino al primo pomeriggio. Nell’arco di otto settimane i piccoli mettono le penne e vengono covati da entrambi i genitori; spesso il maschio rimane nel nido durante il giorno, mentre la femmina trascorre la notte all’interno della cavità. I giovani che hanno messo le penne costituiscono con i genitori un gruppo familiare e gli adulti, in particolare il maschio, continuano a nutrire i piccoli per le successive otto settimane. I giovani raggiungono la maturità sessuale tra il terzo e il quarto anno di età.

La magnifica cresta che, chiusa, si estende oltre la nuca, è composta da sedici penne allungate, Il numero delle penne è una variabile , che per la specie nominale ha un massimo di 16 penne mentre, più avanti la descrizione particolareggiata del C.mollis- sottospecie è di 14.sottili e rivolte in avanti. Bordo anteriore della cresta di colore bianco, resto delle penne con ampia base rosso rosato, spesso con sottile fascia gialla centrale e punte bianche; poche penne più corte, più arrotondate e più bianche sopra l’occhio, che formano una sorte di base bianca quando la cresta è sollevata. Le penne della cresta sono rosso arancio alla base; fronte e redini sono rosso rosato. Nuca e parti superiori sono di colore bianco, spesso con rosa infiltrato visibile tra le penne dell’ala chiusa, quando è a riposo. Parte superiore dell’ala con remiganti dal vessillo interno rosa; sotto ala rosa acceso con sottile bordo bianco sui margini anteriore e posteriore dell’ala. Parti inferiori rosa salmone – che si estende appena ai lati del collo -, che sfuma nel bianco del ventre e della parte inferiore dei fianchi. Sopraccoda bianco con vessilli interni rosati; sottocoda rosa sui vessilli interni, tranne che sulle punte e sulle due penne centrali. Parti nude: becco bianco sporco, tendente al grigio; anello perioculare bianco sporco, quasi grigio; iride marrone; zampe grigie.

Nella femmina la fascia gialla che attraversa la cresta è più ampia e l’iride è rossa anziché marrone. Nei giovani l’iride è scura e nelle femmine si schiarisce con l’età.

Dimensioni:

Ala 27,3-28 cm; coda 14,1-16,5 cm; becco 2,9-3,2 cm; tarso 2,4-2,8 cm per C.leadebeateri

Ala 25,9-26,7 cm; coda 13,9 -14,9 cm; becco 2,3-2,4 cm; tarso 2,3 -2,4 cm per C.l.mollis

La misurazione dei soggetti presi in esame differisce sia per la specie nominale che per la sottospecie, ma bisogna considerare che la diversità varia per la zona di provenienza dei vari soggetti; sono stati esaminati soggetti presenti al Museo Nazionale Australiano e la varietà delle misure è stata verificata negli anni da Forshaw (1994) e da Rowley (1991), ponendo maggiore evidenza al becco, alla coda, al tarso e alle ali. La cresta, pur essendo l’elemento significativo rilevato, non viene riportata dallo scrivente, ritenendola una misura sempre variabile e non certa, ma è elemento distintivo per la variabilità; altro elemento è la striscia rossa frontale, molto marcata. Suffraga quanto detto sopra ! e purtroppo i dati disponibili sono rari di poco raffronto anche con pezze presso musei del luogo !!!

Quanto alla variazione geografica del cacatua, esistono due sottospecie censite; altre due sottospecie, mungi e superflua, non sono più riconosciute poiché sono considerati insufficienti i dati, sia per le differenze morfologiche che per l’isolamento geografico.

         C.l. leadbeateri (Vigors, 1831)         (Australia orientale e centrale)

         C.l. mollis  (Matthews, 1912) Mattew’s Pink Cockatoo (GB).        Centro Australia, sud ovest e sud est dell’occidente australiano (Schodde & Maon 1997), e sud Australia. Difficile definire i confini dell’areale rispetto a quello della nominale; sembra che l’esemplare tipo sia stato raccolto a Carnamah, Western Australia. Si distingue dalla nominale grazie alla cresta di una tonalità più scuro di rosso e alla minima quantità di giallo, giallo talvolta del tutto assente: quest’ultima notevole differenza è delle popolazioni che vivono nell’area di Kirneberley. La maggior parte di questi cacatua abita la regione sud-occidentale dell’Australia, anche se la portata della sua distribuzione non sempre è chiara e definita. La taglia è un altro elemento che contraddistingue il C.l.mollis dalla specie nominale, che è più grande (C.Hunt,1999).

La sottospecie mollis si può trovare in tre popolazioni separate: una a sud del territorio del Nord-est dell’Australia occidentale e a nord del sud-Australia, un’altra in Australia occidentale, a sud-ovest della linea tra la costa nord occidentale e la Baia Israelita ed un’altra ancora nel sud del continente meridionale e sud-est occidentale

Tali verifiche furono effettuate da R. Schodde nel 1994, che ha però mancato di specificare gli ambiti dei tre siti e di segnalare quattro popolazioni riproduttive isolate. Un altro ornitologo, Hall, notò una variazione sia nella dimensione che nel piumaggio entro una limitata serie di esemplari a campione.

La sottospecie mollis si distingue lievemente dalla nominale sia nelle misure (è più piccola) che nel piumaggio più intenso nel rosa e più esteso, che varia nella gamma della colorazione. Perciò la popolazione nel continente sud occidentale appare estremamente differenziata nella cresta, tutta rossa senza banda gialla, e nell’ intensità del rosa sulle guance, con qualche tenue tendenza all’arancio, poi accentuata dalla fascia rossa frontale. Sia il maschio che la femmina sono alquanto simili e la cresta non porta alcunché di giallo, ma si può avere in qualche soggetto una leggera soffusione in mezzo al rosso della cresta. Le quattordici penne rosse (Rowley & Chapman, 1991) della cresta presentano punte bianche e portano una lunghezza di 35-40 mm.

Da un esame eseguito presso il museo di Adelaide e di Vittoria, il maschio e la femmina hanno l’ala decisamente più corta rispetto alla nominale e il becco del mollis è molto più corto e la coda più lunga.

Questi risultati, a dir poco anomali, mostrano che la variazione geografica, anche se studiata, non può certo essere risolta o spiegata da pochi campioni che sono presenti nei musei o con sporadiche osservazioni. Occorre uno studio molecolare mirato. Per il momento la differenza è indicativa di una sostanziale differenza e di fatto il soggetto in mio possesso rispecchia in toto i dati di riferimento espressi dal Forshaw e da molti illustri ornitologi.

Indubbiamente la rarità di una presenza europea spingerebbe a fissarne la sottospecie, ma purtroppo non si conosce la reale presenza di soggetti che possano formare coppie riproduttrici, al fine di conservare un così prezioso volatile.

Referenze:

 Articolo e immagini G.Petrantoni

 Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO




Pharomachrus auriceps (TRIGONIFORMI)

Pharomachrus auriceps (Gould, 1842), o Quetzal dalla testa dorata, indicato anche come auricops tragon.

I Trigonidi sono uccelli splendidamente colorati, dalla coda lunga e cuneata e dal becco breve, ma robusto, con cui scavano nei tronchi fradici delle cavità destinate ad ospitare le loro uova. Non hanno stretti rapporti con altre famiglie di uccelli e sono perciò considerati un ordine a sé, quello dei Trigoniformi.

Le loro dimensioni vanno da quelle di un Frusone a quelle di una Gazza. Il petto e l’addome nei maschi sono vivacemente colorati in rosso o giallo, mentre il dorso è spesso verde splendente. Il piumaggio delle femmine ha solitamente una colorazione meno ricca di tonalità contrastanti. Il mantello assume sfumature cangianti per la presenza dei pigmenti nelle penne e per la capacità di rifrangere la luce; lo scintillio metallico si produce nei vari gruppi secondo modalità diverse. E’ normale che nei soggetti impagliati esposti presso i Musei, i colori luminosi delle penne sbiadiscano prestissimo, tanto che sembra quasi impossibile riconoscerli.

I piedi sono molto deboli e presentano una insolita disposizione delle dita: il primo ed il secondo dito sono rivolti stabilmente all’indietro, mentre il terzo ed il quarto sono diretti in avanti; per questo sono definiti eterodattili.

Sono sostanzialmente distinti in otto generi con 34 specie che vivono nelle zone tropicali dell’America centrale e meridionale, dell’Africa e dell’Asia meridionale. Vivono generalmente ad altitudini abbastanza elevate, ove la temperatura é piuttosto bassa e, pur essendo molto appariscenti, sono appena visibili tra le rigogliose foreste tropicali.

Il quetzal trascorre l’epoca delle piogge, che dura da metà maggio ad agosto, in regioni più basse, comprese tra 1000 e 1400 msl, ove si riproduce. Nei rimanenti mesi si sposta verso i 1800 m, altitudine alla quale trova umidità atmosferica che gli addice.

Questi uccelli nidificano in cavità che scavano in tronchi o nei ceppi fradici ed occupano anche nidi abbandonati di Picchi. Talune specie formano le loro cavità all’interno di termitai e persino vespai. Indifferentemente maschi e femmine si occupano della sistemazione del nido, che però non viene imbottito di alcun materiale, pertanto la covata giace sul nudo pavimento della camera. Le uova sono quasi sferiche, misurano in funzione della specie da 23/29 x 20/30 mm, sono bianche o pastello e talvolta brune o azzurre. Entrambi i genitori prendono parte alla cova; di notte è sempre la femmina che si intrattiene nella cavità, mentre di giorno il maschio le dà il cambio solo per qualche ora. Dopo 17-19 giorni i piccoli nascono con gli occhi chiusi e nudi, venendo alimentati quasi esclusivamente con insetti ed in seguito frutta, poi con invertebrati come rane e lucertole e persino lumache. Lo sviluppo è abbastanza rapido, tanto che si coprono subito di piume e, all’età di 15-17 giorni, lasciano il nido; i giovani posseggono delle callosità che regrediscono durante la crescita; sono simili per colorazione alla femmina e restano in compagnia dei genitori ancora per qualche tempo, sino a quando diventano completamente indipendenti .

La specie più conosciuta o famosa è il Quetzal o Trogone splendido (Pharomachus mocino), adorato dai popoli Maya e Aztechi presso i quali godeva di una speciale venerazione. E’ ancora oggi il simbolo del Guatemala, anche se oggi è piuttosto raro.

Il Quetzal dalla testa dorata (Pharomachrus auriceps o xanthogaster), Viuda de la montagna in lingua locale, è molto simile, più comune, ma facilmente confondibile con la precedente specie. Se ne differenzia per la sua caratteristica testa dorata e soprattutto dal becco, che rimane più scoperto dalle penne verdi, dalla base della cera, mentre il Trogonone splendido è più coperto dalle verdi penne per i tre quarti del becco.

La parola quetzal, deriva dalla parola Atzaca – Nahuatl, quetzalli , dalla radice quetz che significa “stare in piedi” e che si traduce in “lungo pennacchio verde”o “coda di piume luminose”, anche se solitamente è usato per riferirsi al Q. splendente, ma in realtà lo si applica a tutti i membri dei generi .

L’epiteto Pharomachrus, coniato da Pablo de la Lave, deriva dal greco antico farao che significa”mantello, e makros che significa lungo” in riferimento alla lunga coda. Mentre Auriceps, dal latino aurum che vuol dire oro, e –ceps –nuca o capo.

In altre lingue : Goldkopftrogon (D); Queztal dorè (F); Quetztal cabeciodorado (S); Viuda de la Montagna (Venezuela); Quetzal coli negro (Perù).

Vive esclusivamente nella zona sub tropicale della Serra di Perijà e delle Ande di Tàchira e Merida a nord di Trujillo. Sulle Ande della Colombia a Nord-ovest del Perù e a nord della Bolivia.

Il peso si aggira tra i 150 e 180 grammi, con una apertura alare da 30-36 cm ed una lunghezza di 33-36 cm, a cui si aggiungano pennacchi della coda di altri 10 cm circa. Come gli altri membri del genere Pharomachrus, il quetzal dalla testa dorata è noto per le sue ali e il petto iridescenti verde-oro, che possono apparire blu a seconda della luce. Il seno della femmina è di un colore bruno più opaco; anche la sua testa è di un marrone dorato più opaco rispetto alla testa di bronzo dorato del maschio, da cui deriva il nome della specie. Le loro fatture sono corte e ampie; appaiono di colore giallo nei maschi e di un bruno grigiastro nelle femmine. Le copritrici della coda superiore del quetzal sono di un verde più scuro e si estendono oltre la punta della coda, più nel maschio che nella femmina. Sia il maschio che la femmina hanno una sottocoda nera, sebbene la femmina a volte mostri punte sbiadite grigio-nere. Le piume sul petto inferiore di entrambi i sessi sono di un rosso brillante.  Le loro gambe e i loro piedi sono di un verde oliva o di un colore brunastro. Il giovane quetzal dalla testa dorata è di un colore bruno-nero con poche piume verdi iridescenti sul collo e sul petto e privo della copertura posteriore dell’adulto. Il quetzal maschio dalla testa dorata differisce dagli altri quetzal nella mancanza di una cresta di penne.

Dato che il Quetzal testa dorata è un uccello alquanto silenzioso e di poco movimento, in genere lo si può intercettare solo in lontananza e la sua vocalizzazione suona come un lamento ripetuto, da cinque a sette volte: whe-wheeu,whe-wheeu,we-weeooo e così via. Usa fare anche chiamate simili ad un nitrito : dy-dy-dy-dyyrrr.I dati forniti dalla dott.ssa Solis Aguire in una recente una conferenza internazionale tenuta a Creta sull’allevamento in cattività da Lei svolto ci hanno dato la possibilità di stendere il protocollo allevamento che espongo.

Incubazione delle uova a 37.2° C, per 18 -19 giorni.

1° giorno alla schiusa temperatura 36.5° C, alimentazione ogni due ore dalle 07 alle 20, con formula per piccoli del tipo Kaytee, Tropican. Aggiunta di un 10% di avocado. Offrire un mix tiepido in acqua con pellet per pappagalli della Mazuri.

Dal 2° giorno al mix aggiungere CaCo3, vit B. Al terzo giorno abbassare la temperatura a 35.5° C. Dal quarto giorno aggiungere al mix un 10% di papaia o banana, mentre l’80% è costituito da pellet. Dal 5° compreso il 6° giorno, la temperatura viene portata a 34.5°C e l’alimentazione da otto volte passa a 7 pasti giornalieri, la frutta può essere sostituita da uva sbucciata o mirtilli. Il settimo giorno la temperatura scende a 33.5°C; mentre l’ottavo giorno la temperatura viene portata a 33.3°C e la somministrazione dei pasti si riduce a sei volte al dì, la mistura viene così modificata: 75% pellet,10 % avocado, 10% frutta e 5% larve. Il nono giorno la temperatura diventa 32.8 °C.

Dal decimo giorno la frequenza alimentare passa a cinque somministrazioni – ogni tre ore- nell’arco della giornata sino alle ore 19.00 ed ad una temperatura di 32.2° C. e gli uccelli iniziano a coprirsi delle prime piume.

Sino al 12° giorno si mantiene la dieta e la temperatura la si porta a 31.1°C. Dal 14° giorno , la temperatura raggiunge i 30°C, e la dieta verrà così composta: Pellets 65%,10% avocado,10% frutta, 10% larve, 5% insetti, togliere la vitamina B.

Dal 16° giorno ,temperatura 28.9°C, quattro pasti giornalieri e la dieta è così composta:  35% pellet, 10 % avocado,20 % frutta,10 % proteine animali,25% pellet a basso contenuto di ferro. Dal 18° giorno temperatura a 27.8° C, 15 % pellet, 15 % avocado, 25 % frutta, 15 % proteine animali, 30% pellet a basso contenuto di ferro. Gli uccelli sono completamente ricoperti di piume, ad esclusione del sottogola.

Dal ventesimo giorno trasferire l’uccello in una gabbia a temperatura ambiente, con mangiatoia per alimenti di cui è stato cibato sino al momento. Sul fondo in un contenitore con della torba e sopra di esso, verrà posto un ramo , affinché l’uccello possa aggrapparsi e sostare. Dal 22° giorno l’alimentazione assistita sarà portata a tre volte al dì.

Dal 23° al 24° giorno inizierà ad auto alimentarsi , anche se l’assistenza avverrà solo due volte al dì mattina e sera.

Dal 28° e arrivando al 30° giorno, si potrà dare l’alimentazione per adulti : 60% frutta, 15% avocado,25 % pellet, e 5 larve di Tenebrio; raggiunto il 34° giorno, bisogna necessariamente interrompere l’alimentazione assistita , anche se lo stesso chiama per ricevere il pasto, ma ormai completamente in piuma e indipendente, risolverà da solo!

Traduzione e Adattamento di Guglielmo Petrantoni, protocollo alimentare Dott.sa Alicia Solis Aguirre

Riferimenti:

 Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO




L’antica affascinante arte della falconeria

Falconeria

“Niente è più difficile di quest’arte, ma niente di questo suo sapere è più bello”. Federico II di Svevia

I rapaci diurni (Falconidi) e crepuscolari  (Strigidae) sono uccelli di mole assai variabile e sono muniti di un becco ricurvo all’apice, hanno gli occhi posti lateralmente sul capo, sono ottimi volatori, provvisti di  grandi muscoli pettorali e di ali voluminose, che conferiscono loro un tipico aspetto di “spalle larghe”, offrono uno sguardo severo determinato dalle arcate sopraccigliari sporgenti al di sopra degli occhi. Le femmine sono più grandi dei maschi.

Chi non avesse mai avuto un incontro ravvicinato con i falchi e i gufi, sappia che all’interno dell’area protetta dell’Oasi di Sant’Alessio può provare questa emozione e sperimentare una simulazione di caccia con un logoro appeso a un modellino di aereo telecomandato,logoro  che  a comando viene lasciato cadere da  una altezza di circa 50 m. e poi inseguito dal rapace, sino alla cattura in volo.  Ciò permette di ricostruire lo scenario di battute di caccia d’altri tempi e di seguire tutte le evoluzioni per la salita in quota del logoro e del suo cacciatore. Commenta abilmente ogni fase, con dovizia di particolari, il signor Harry Salomon, proprietario e animatore del prestigioso comprensorio faunistico, che aggiunge note di carattere informativo-storico, nonché di allevamento e avvio alla corretta tenuta dei rapaci.

Al riparo della recinzione e all’ombra della folta vegetazione ci si può lasciare emozionare dal regno dei rapaci che volano in assoluta libertà, in un ambiente rispettoso dei protagonisti, cioè gli animali stessi. E’ un’ occasione unica per conoscere questo affascinante mondo, legato spesso anche a un immaginario della tradizione mitologica, con simboli connessi a potere e magia, che può attrarre famiglie  e scuole, fotografi professionisti e non, grandi e piccoli. La dimostrazione del volo di falconi, gufi e altri rapaci è supportata dalla collaborazione di un team femminile e da Giulio Salomon, animatore del gruppo volo. L’emozione, nei circa 40 minuti di evoluzioni, sicuramente non mancherà. Lo scenario è anche vivacizzato da una finta lepre in fuga su un percorso stabilito. A un comando viene lasciato libero un gufo che con precisione si fionda sopra la lepre per farne preda e poi, con le sue possenti ali, la copre per consumare l’ambito pasto indisturbato.

Tale addestramento è frutto di un costante e continuo lavoro di pazienza che si protrae per mesi, al fine di ottenere la fiducia dell’animale, che dopo un anno dovrà incontrare il pubblico.

La falconeria è un’antica arte della caccia nata sugli altipiani delle steppe asiatiche circa 4000 anni fa. Gli uomini falconieri andavano a cavallo con le loro aquile appoggiate al polso, a pugno chiuso, e cacciavano volpi, conigli e persino lupi. In Arabia venne poi perfezionata la tecnica della caccia con il falcone. Fu l’imperatore di Germania Federico II di Hohenstaufen, autore tra l’altro di un testo (De arte venandi cum avibus*, il primo trattato di ornitologia scritto nel 1071 e ancora attuale), a portare questa pratica in Europa e, con la sua opera, a colmare una lacuna che esisteva nella letteratura. La falconeria, attuata correttamente e in modo professionale, offre l’opportunità di osservare il mondo dei rapaci da vicino, nel completo rispetto del loro naturale comportamento di volo, senza sottoporre l’animale ad artificiosi addestramenti. L’allevamento e la riproduzione di uccelli rapaci sono una conoscenza che non si improvvisa, ma si costruisce con anni di duro e paziente lavoro, così da mettere il risultato a disposizione di tutta la comunità!

Grazie all’occhio, alla passione e agli scatti di Corrado Corradini (**), e come Lui stesso ama definirsi ”non sono un naturalista, ma considero un reportage le mie foto”, ho potuto dare risalto a questo articolo, in cui il fotografo naturalista ha avvicinato un mondo animale con grande rispetto, per farci scoprire la falconeria con entusiasmo fotografico e nel contempo trasmetterci l’amore per questi uccelli e questa arte!

Buona visione!

Testo di Guglielmo Petrantoni, foto di Corrado Corradini

 

(*) L’opera si compone di sei libri: Trattato generale sulle abitudini e strutture; Uccelli da presa; Generi di trappole ed usi; Caccia alla gru con Girifalcho (Falco rusticolus; Caccia agli Aironi con il Falco Sacro (Falco cherrug); Caccia agli acquatici con falchi minori;

(**) Corrado Corradini, 63 anni, già fotografo professionista. Dopo una  lunga pausa dal lavoro, quasi per gioco rientra nel mondo “ delle immagini”, con una piccola digitale, tanto da far riaffiorare e ritrovare una voglia di  . . .fermare immagini, ma questa volta solo per divertimento!




 Il CAPOVACCAIO (Neophorn percnopterus), un avvoltoio quasi dimenticato

Neophorn percnopterus, Savigny, (Linnaeus,1758).

Inglese: Egyptin Vulture

Tedesco: Schmutzgeier

Frances: Pércoptère d’Egypte

Spagnolo: Alimoche comùn

Nella mitologia greca, Neophron un imbroglione che viene trasformato in un avvoltoio; percnocterus da perknos oscuro e –peteros – ali, quindi dalle ali scure.

Per l’ornitologo Aldrovandi nel 1599 era chiamato “Gipeto”, mentre Ray lo classificò“ Falco montano egiziano” e Hasselqvist lo definì avvoltoio “vultur”. Infine per Linnaeus, il nome specifico di Egyptian Volture era scritto perenopterus e non percnoterus, per cui Perenopterus vultur. Ciò è evidentemente era un errore di battitura, come cita l’Aldrovandi, il quale lo scrisse in entrambi i modi.

Lunghezza  massima totale metri 0,700; ala 0,500; coda 0,230; becco 0,070; tarso 0,080; dito medio 0,090; peso circa 2 Kg. Il capo è nudo solo nella sua parte anteriore fino al di là dell’orecchio dove cominciano le piume lanceolate che coprono il collo; Becco lungo ed esile, a margini appena sinuosi questo, è meno incurvato che nei veri avvoltoi; narici orizzontali, ristrette, allungate; occhi non infossati e vista molto acuta che gli consente di scoprire anche di piccole dimensioni a grandi distanze. Piedi simili a quelli degli avvoltoi, ma più sottili, con unghie ottuse. Ali grandi e lunghe, coda cuneata  formata da 14 penne, colorito uniforme.

I giovani nel primo abito sono bruno – cinerei uniformi, tranne le grandi penne che sono oscure. Le copritrici hanno margini fulvi e ocra che tendono a scomparire nell’abito successivo in cui il colore bruno è meno intenso è può diventare colore terra chiara. Nel 2° abito è di colore bianco uniforme, ma mai totalmente puro, per lo più sfumato di  giallo o adirittura isabella. Le remiganti secondarie portano la base scura cinerea e le primarie sono nere.

Becco bianco – giallastro, la cera e tutta la parte nuda del capo di colore giallo uovo, i piedi variano tra il color carneo e il giallo –chiaro;l’iride è bruno rossiccia, che con l’andare degli anni porta al rosso.

Madre e figlio all’arrivo in terra d’Afica, dopo la migrazione.

E’ distribuito su una vasta area che si estende dalla Penisola Iberica e dall’Africa Occidentale sino al sub continente indiano.

Le popolazioni che nidificano attorno al bacino del Mediterraneo, in Medio Oriente e nell’Asia centrale sono migratrici e svernano in Africa nella fascia sub-sahariana e nella regione etiopica, nella parte meridionale della Penisola Arabica ed in India.

Vengono riconosciute due distinte sottospecie:

  1. N. p. ginginianus, di minori dimensioni e con la punta del becco chiara, diffusa in Nepal e in India;
  2. N. p. percnocterus, distribuita nella restante parte dell’areale della specie.

Recentemente è stata descritta una terza sottospecie endemica delle Isole Canarie, caratterizzata dalle maggiori dimensioni e confinata alle isole di Fuerteventura e Lanzarote, che  presentano un elevato rado di differenzazione genetica: N. p. majorensis

Nel Paleartico occidentale il Capovaccaio nidifica nella Penisola Iberica, nella Francia meridionale, e nel sud Italia, Puglia e Sicilia.

Sin dall’inizio secolo XX il Capovaccaio era ampiamente diffuso in Italia come migratore regolare e nidificante. Sempre avvistato in Puglia sul Gargano, nelle Murgie, lungo la costa Ionica della Calabria e in gran parte della Sicilia.

Progressivamente nel tempo l’areale tirrenico si è andato frammentando e ritirando verso sud, contrazione che ha creato un drammatico calo dei contingenti nidificanti, declino che ha portato ad una riduzione di coppie riproduttive non oltre la decina. I siti riproduttivi sono oggi localizzati nella zona delle gravine appulo – lucane, nella Valle dell’Agri, sul massiccio del Pollino e nella Sicilia centro – occidentale.

Da tener presente che vi sono avvistamenti di soggetti singoli, che non si riproducono e probabilmente soggetti sub adulti, che compiono erratismi o che sono legati ad un determinato territorio senza costruire nido, questi soggetti sono chiamati estivanti.

In Sicilia quasi mai vengono segnalati soggetti giovani o immaturi, questo perché gli immaturi restano in Africa e solo dopo tre anni intraprendono il viaggio verso i siti di nidificazione europei.

I Capovaccai che ha nidificato nel Paleartico occidentale, abbandona il territorio per recarsi in Africa, solo tra metà agosto e metà settembre,  e solo qualcuno si intrattiene sino ad ottobre. Pur non di meno gli adulti , o meglio le coppie formate e  riproduttrici migrano indipendentemente dai figli.

Il volo verso L’Africa avviene seguendo rotte ben precise che evitano le lunghe traversate del mare, e pertanto convergono verso lo stretto di Gilbilterra, sul Bosforo ed in misura minore verso il canale di Sicilia. Certo la maggior concentrazione si ha nel corridoio che passa per la Turchia meridionale, Israele e Suez,ave è minore il tratto di mare.

Terminata la migrazione, sostano in estesi areali sino alla successiva stagione.

I quartieri riproduttivi vengono poi raggiunti tra l’inizio di febbraio e magio con picco di arrivi a marzo. Non è raro comunque che una frazione della popolazione paleartica resti a svernare in Italia.

La riproduzione presenta nel Capovaccaio un basso tasso di natalità e un elevato tasso di sopravivenza di giovani e adulti. I nuovi nati entrano in riproduzione al compimento del 5° anno e mediamente le coppie riescono a fare involare un piccolo all’anno, ma di contro l’aspettativa di vita è alta, in cattività sono noti  casi di soggetti in grado di riprodursi anche con 35 e passa anni di età.

La dimostrazione ci è data dalla coppa di Capovaccai presenti da decenni al Parco Villa d’Orleans di Palermo, che già dal decorso anno ha dato alla luce un piccolo, poi non portato al volo e deceduto, mentre nell’anno in corso la stessa coppia ha deposto per il secondo anno consecutivo, ed ancora oggi si riproduce regolarmente e positivamente, grazie anche alla attenta e oculata gestione del Direttore Nicola Lauricella.

Gli stessi sono monitorati costantemente da una telecamera , che segue l’iter riproduttivo e fornisce la possibilità al pubblico di osservarne le varie fasi di sviluppo.

Uno dei pochi casi dove la conservazione della specie è curata al fine di porre al volo un giovane che potrebbe essere rilasciato per svernare in Africa e rientrare successivamente in territorio Italiano e dare continuità alla specie, così come è avvenuto a cura del CERM  in Puglia  nel 2007,con il rilascio di un giovane munito di radio collare satellitare.

Il nido è formato da un ammasso di rami di varie grandezza, guarnito internamente con lana di pecore ed altro materiale morbido,la cui collocazione è posta sui dirupi e pareti rocciose delle montagne inaccessibili.

Generalmente depongono due uova,bianco sporco e con poche macchie rossastre, o maculate d rosso bruno, alla fine di marzo,o all’inizio di aprile ad intervalli di 2 – 4 giorni. La coppia si alterna alla cova per 42 giorni, anche se il maggior impegno è profuso dalla femmina che cova per il 70% del tempo.

I giovani si involano dopo 80 giorni circa e vengono seguiti dai genitori ancora per qualche settimana, i quali provvedono ad alimentarli portando del cibo o nel nido o nelle immediate vicinanze. La specie riesce a produrre covate di rimpiazzo, qualora la prima covata risultasse improduttiva.

La dieta di questi avvoltoi è di tipo “opportunistico”, si nutre di piccoli animali morti, carcasse di ungulati, resti di macellazione,rifiuti, e talvolta di insetti o invertebrati.

La popolazione nidificante in Italia è ormai ridota al lumicino, tanto che a livelli numerici sì esigui, la specie può definirsi a forte rischio di estinzione. Basti considerare, che per alcuni anni si sono avute nascite con un rapporto squilibrato tra sesso maschile e femminile, talché non è possibile costituire coppie sufficienti, tali da garantire un rimpiazzo nel tempo di soggetti che sono morti, e ciò determina di conseguenza un rilevante calo demografico. La ridotta variabilità genetica che inevitabilmente contraddistingue le popolazione rarefatte, fa sì che le stesse mostrino scarsa plasticità a reagire ai mutamenti ambientali, e la ripresa spontanea della popolazione è molto bassa. Si conta esclusivamente sulla riproduzione in cattività con la conseguente reintroduzione in natura,  di quei sparuti soggetti che pochissimi allevatori od organizzazioni Governative, riescono a fare con non pochi sforzi.

A questo si aggiunga le azioni già intraprese dal Governo con l’emanazioni di leggi e decreti ad  hoc, ma sopratutto la tutela per gli habitat e degli ambienti steppici in Italia, considerati di prioritario interesse conservazioni stico come il Parco Nazionele del Pollino, i Parchi Regionali delle Madonie e di alcune Riserve Naturali della Sicilia centro- occidentale (Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere,Monti di Palazzo Adriano, Pizzo Cane, Pizzo Trigna, Monte san Calogero), dove vivono cinque delle sette coppie censite in Italia. Ci si augura che come il CERM ed il Dipartimento di Produzione Animale dell’Università di Bari, abbia raggiunto un rapporto di collaborazione per la riproduzione assistita, allo stesso modo avvenga per la Regione Sicilia.

Al di fuori di predazione di testuggini, o predazioni di piccoli di altri animali  che è solo correlata all’abitudine di frequentare nidi di altre specie alla ricerca di resti alimentari, non risulta abbia particolari altre abitudini di predazioni. Si accontenta di degli scarti lasciati da altri avvoltoi, anche perché il suo debole becco gli permette di estrarre solo piccole parti delle carcasse. Molto legato alla pastorizia e al pascolo brado perché si nutre di placenta e feti abortiti. Si ciba di escrementi di erbivori per assumere carotenoidi al fine di accentuare la colorazione gialla della pelle della faccia e rosa delle zampe, utili fattori per aumentare il gradimento tra i  partner della coppia.

Nella mitologia, l’avvoltoio degli Egizi, era così chiamato poiché con l’abitudine di nutrirsi di tutto ciò che era rifiuto animale e di cui amava cibarsi, contribuiva a mantenere sano l’ambiente, tenendo lontano l’uomo da malattie causate dalla putrefazione animale.

Venerato e graficamente rappresentato negli ideogrammi dell’alfabeto egizio, tanto che ne era spesso affrescata l’immagine sulle tombe dei Faraoni, dove il logo era così costituito: lettere “a”, immagine del “capo vaccaio” un puntino ”.” Ed una “freccia” in senso indirizzato verso l’uccello. La traduzione:  Il Faraone potrà ascendere al cielo assumendo le sembianze di un avvoltoio capo vaccaio.

Articolo Guglielmo Petrantoni, Fotografia Colombo G. ed autore.

 Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO